mercoledì 24 agosto 2011

Al Contadino non far Sapere quanto è Buono il cacio con le pere.


Lo so bene, sono monotono. Questo è già il terzo modo di dire del quale tento di scoprirne l’origine e il vero, originale, significato (sempre degno di soggettiva interpretazione). Chi non lo sappia, si legga i miei post addietro sul “in bocca al lupo” e “non gettare il bambino e l’acqua sporca”.
Stavolta è toccato a “Al contadino non far sapere quant’è buono il formaggio con le pere”.
Come primo passo ho interrogato i miei genitori, i quali mi hanno liquidato dicendo che sottolinea l’inutilità di far presente al contadino un binomio gustativo già di sua piena conoscenza. Soddisfatto?! Neanche un po’. Perché non sono soddisfatto secondo voi?! Semplice, perché prima di essere un assicuratore sono un sociologo ed in quanto sociologo mi sono posto alcune domande inutili...Chi non deve far sapere? Perché proprio al contadino? Non essendo questione di rima (natura prevalente in molti proverbi) considerando che avviene fra “sapere” e “pere”, perché citare proprio una classe sociale così umile?!
Ammetto che non ho dovuto cercare molto. E’ bastata una googlata un po’ più elaborata per avere una risposta più che convincente. Ho trovato infatti un documento redatto dalla prof.ssa Emanuela Delle Grottaglie (sociologa dell’Università del Salento e studiosa del rapporto fra Cibo e Cultura) tratto da un saggio del prof. Massimo Montanari (docente di Storia medievale presso l’Università di Bologna e studioso di Storia dell’alimentazione).
La tesi che perseguono Montanari e di conseguenza Delle Grottaglie è che questo proverbio ha forti origini sociologicamente rilevanti, radicate nel conflitto sociale e nella succubanza in cui soggiacciono le classi dominate, quali quelle povere.
Nonostante sia ben descritto nel saggio (verrà riportato il link usufruibile fra le fonti), il processo esplicativo è riassumibile in poche parole.
Innanzitutto va scomposto il binomio formaggio e pere. Entrambi sono cibi appartenenti in origine agli strati umili della popolazione, elementi referenti infatti alla Natura (il latte e il frutto). Va ben sottolineato, però, che lungo il corso del Medioevo, il formaggio “vede messa in discussione la sua identità di cibo umile ed è ritenuto degno di accedere alla mensa signorile” (Montanari, 2008, p.29). Diventa, soprattutto un elemento perno delle diete delle comunità monastiche, collettività assolutamente non povere ma disciplinate a privarsi di alcune pratiche, fra cui il consumo di carne.
Quindi siamo in una situazione di un alimento buono a disposizione di qualunque ceto sociale. Il problema è che, soprattutto fra i ceti alti (nonché nella società dei consumi di massa odierna) qualsiasi cosa per essere considerata di “buona qualità” non dipende dal gusto percepito, ma dal gusto trasmesso da un’istituzione culturale che lo qualifica come buono [vedi anche La Distinzione, Critica sociale del Gusto, Pierre Bourdie, 2001]. “Allora non sarà più vero che “è buono ciò che piace”, ma che “piace (ovvero bisogna farsi piacere) ciò che è buono”, ciò che convenzionalmente è giudicato tale dalla cerchia degli intenditori” (Delle Grottaglie, 2009, p.95). Qui sta la radice del proverbio: al contadino (strato sociale umile) – non far sapere (non far conoscere, non trasmettergli) – quanto è buono (considerato così da qualcuno che lo ha giudicato ufficialmente) il formaggio con le pere (binomio da lui assolutamente accessibile, ma non automaticamente deducibile in quanto facente parte a due categorie di cibo differenti, quali il salato e la frutta). La parola chiave non sono “il cacio e le pere” ma “sapere”. Se il contadino ne viene a conoscenza, non sarà più un’esclusiva di alcuni (i dominanti); quindi avverrà un’emancipazione sociale delle classi più umili deteriorando il controllo sociale della classe dominante sui dominati, fatto sul possesso dei mezzi, delle possibilità e quindi anche della conoscenza. Conoscendo si accresce la possibilità di fuoriuscire dalla propria classe – il fatto che poi tutto si riconduca ad una scala mobile che scende è un’altra storia –e quindi minare alla superiorità dei ceti nobili sui sudditi. Fondamentalmente il proverbio se avesse trattato il miele & formaggio o carote & vista avrebbe avuto lo stesso risultato. Come ho detto...è questione di rima.

Salutandibus
Lorenzo Querci

Bibliografia
DELLE GROTTAGLIE E. (2009), recensione del testo in Amaltea Anno IV.
MONTANARI M. (2008), Il formaggio con le pere. La storia di un proverbio, Editori Laterza, Bari

6 commenti:

Anonimo ha detto...

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quindi il contadino (umile) non deve sapere quanto è buono il formaggio (prodotto nobile) con le pere (prodotto umile -della terra-)se no capisce di essere sottomesso... faccio esempio: l'italiano medio non deve sapere quanto guadagnano i politici italiani, se no capisce come sta la situazione... Ho fatto un esempio ...Non so nemmeno se ho capito bene il proverbio è un enigma per me ... perché io le ho provate le pere col cacio davvero buone ... --> twitter @tomafuin

Anonimo ha detto...

....il ricco si gratta il deretano ed è una goduria.
il povero prima si guarda in giro e un pò si vergogna..

sveglia ragazzi,svegliaa!!

lunderperzo ha detto...

Salve, fare ricerche su Google e fidarsi di eruditi e simili non basta. E spesso è più la confusione e il tempo perso il risultato. Non c'è tutta questa complicates dietro i proverbi, e soprattutto non dietro a questo. Il riferimento storico è puramente arbitrario e il prof Montanari non ha trovato una sola prova a sostegno della sua speculazione. Un contadino qui è chiunque sia uno zoticone ignorante, non necessariamente chi lavora la terra, e il proverbio osserva astutamente che spesso chi è contadino "mentalmente" non si rende conto di ciò che ha sotto il naso, non ha "conoscenza" del mondo. E con simili personaggi non vale la pena perdere tempo a insegnargli qualcosa, a mostrargli dei fatti anche semplici che richiedono un certo apprezzamento. È un insegnamento di vita un proverbio, una metafora. Non un analisi di storia della sociologia. Non si fidi delle università! Arrivederci